La carenza di ferro è quella che si riscontra più frequentemente tra la popolazione, è quindi molto importante valutare correttamente il bilancio del ferro non solo nelle persone che devono seguire una cura dimagrante, ma in tutti quei pazienti che vengono trattatati per un motivo o per l’altro con un intervento nutrizionale.
I LARN (livelli di assunzione giornalieri raccomandati) per il ferro sono i seguenti:
Bambini da 3 a 10 anni 9 mg
Maschi da 11 a 17 anni (RDA fino a 18 anni) 12 mg
Maschi adulti 10 mg
Donne in età fertile 18 mg
Donne in menopausa 10 mg
Gestanti 30 mg
Nutrici 18 mg
Come si può notare, alcuni gruppi di popolazione sono più a rischio di altri di incorrere in una condizione di anemia, a causa del maggior apporto di ferro di cui necessitano.
Donne in età fertile, a causa delle perdite di sangue dovute al ciclo mestruale, gestanti e puerpere, che vedono aumentare il loro bisogno di ferro per le necessità del bambino, sono le categorie più a rischio.
Il rispetto dei quantitativi di ferro raccomandati, implica spesso il dover effettuare delle scelte alimentari non gradite al paziente che lo possono mettere in condizione di non poter seguire la dieta per tutto il tempo necessario; è altrettanto vero che, per assicurare queste quantità, si è costretti a volte ad assegnare quantità di proteine maggiori di quelle ritenute ottimali.
Quando ci si trova di fronte ad una condizione di iposideremia, con valori dell’emoglobina inferiori a 13 g/dl nell’uomo e a 11 g/dl nella donna, sarà opportuno che il paziente segua un piano alimentare bilanciato, che garantisca un elevato introito di ferro ma che sia strutturato anche rispettando le preferenze alimentari del paziente al fine di assicurare la sua compliance alla dieta.
In questo modo, nella grande maggioranza dei casi, si riesce a risolvere il problema entro pochi mesi. Il rispetto delle indicazioni fino ad ora esposte, può tuttavia non essere sufficiente alla restaurazione del patrimonio di ferro, quando vi siano eccessive perdite o un maggiore fabbisogno di questo minerale, come nel caso di:
donne con ipermenorrea;
donne in gravidanza;
donne durante l’allattamento;
donatori di sangue;
sportivi;
Tale situazione può riscontrarsi anche in condizioni patologiche meno frequenti:
Morbo Celiaco;
sindromi da malassorbimento;
gastro-resezione;
perdita patologica di sangue a carico del tratto gastro-intestinale o genito-urinario.
In questi casi, prima di ricorrere alla supplementazione con integratori a base di ferro, dai quali il paziente non vuole e non deve possibilmente dipendere, è opportuno riequilibrare il bilancio di questo minerale riducendone, nei casi in cui ciò è possibile, le perdite e ottimizzandone contemporaneamente gli apporti.
Si dovrà, allora, far consumare in adeguata quantità quegli alimenti che sono naturalmente ricchi di ferro, anche quando questi non sono particolarmente graditi al paziente; si ricorda a proposito che l’assorbimento del ferro-eme, contenuto negli alimenti di origine animale, è maggiore (circa il 25 %) di quello del ferro non-eme (variabile dal 2% al 13%), contenuto negli alimenti di origine vegetale.
L’apporto di ferro con la dieta è generalmente costituito per circa il 15% da ferro-eme e per l’85% circa da ferro non-eme il cui assorbimento, però, può essere aumentato nei seguenti modi:
incrementando l’assunzione di vitamina C
accertandosi che il paziente non ecceda nel consumo di tè e caffè.
sostituendo gli alimenti integrali, come il pane, la pasta, i biscotti, fette biscottate ecc con quelli non integrali
evitando il consumo di alimenti trattati con additivi, quali ad esempio il fosfato di calcio e l’EDTA, che legandosi al ferro non-eme ne riducono l’assorbimento. Tali sostanze possono essere contenute nella salsa di pomodoro, nell’aceto, nei formaggi fusi, in alcuni prodotti dolciari, nei gelati ecc.; sarà opportuno, quindi, invitare il paziente a leggere le etichette indicanti gli eventuali additivi presenti nei vari prodotti.