DIETA CHETOGENICA: UN APPROCCIO ALIMENTARE PROMETTENTE PER LA CURA DEL LIPEDEMA E L'ESEMPIO DI UN CASO CLINICO

Quando parliamo di lipedema intendiamo una condizione clinica che solo in alcuni Paesei è ufficialmente riconosciuta come patologia (purtroppo non ancora in Italia), anche se essa riguarda un numero molto importante di persone in tutto il mondo. Si stima, infatti, che circa il 10/20% della popolazione femminile mondiale sia affetta da questa problematica. Il lipedema sembra affliggere principlamente il sesso femminile, le persone che ne sono interessate soffrono di un accumulo di grasso nella parte inferiore del corpo, a partire dai glutei per scendere fino alle cosce ed i polpacci, mentre il piede non è interessato. Frequentemente sono coinvolte anche le braccia.
Tutto ciò rende la figura del soggetto disarmonica, soprattutto quando al lipedema non è associata una condizione di obesità. Un aspetto importante da sottolineare è che questo stato non dipende quindi da un eccesso ponderale, anche dimagrendo e tornando al proprio peso forma il lipedema continuerà a sussistere ed anzi con lo snellirsi soprattutto della parte superiore del corpo si rischia di aggravare la disarmonia della propria silouette.
Un’altra caratteristica del lipdema è la dolorabilità delle aree edematose se queste vengono sottoposte a pressione ma il dolore a volte si può scatenare anche spontaneamente, fenomeno che è avvertibile soprattutto a fine giornata. Un altro segno caratteristico è la facilità con cui si possono formare delle ecchimosi e la simmetria degli arti coinvolti, mentre ad esempio nel linfedema comunemente viene coinvolto un solo arto.
Questa patologia purtroppo è tutt’oggi scarsamente diagnosticata, viene spesso infatti confusa con il linfedema prima citato o con uno stato di obesità. E’ una malattia progressiva, che tende quindi a peggiorare nel tempo se non trattata, viene comunemente suddivisa in 4 stadi, l’ultimo dei quali può portare a seria invalidità.
A seconda di dove si accumula il tessuto lipdico possiamo distinguere 5 tipizzazioni di lipedema:
tipo 1) accumulo sui fianchi
tipo 2) accumulo che va dai fianchi alle ginocchia
tipo 3) accumulo che va dai fianchi alle caviglie
tipo 4) accumulo sulle braccia
tipo 5) accumulo dal ginocchio alle caviglie

Ma da cosa è causato il lipedema?
Sulle origini che scatenano questa patologia ci sono diverse ipotesi, le più accreditate puntano il dito su uno squilibrio ormonale dato da una predisposizione genetica, altre possibili cause sebrano essere uno squilibrio metabolico ma soprattutto un persistente stato infiammatorio.
Quali trattamenti per il lipedema?
Fino ad oggi si sono avuti scarsi risultati, l’approccio è multidiciplinare: alimentazione, terapia compressiva e trattamento chirurgico. Nei primi stadi della malattia si tende a puntare sui primi due punti mentre il ricorso alla chirurgia estetica è l’ultima ratio, anche perchè l’intervento chirurgico non risolve a monte il problema che quindi potrebbe ripresentarsi.
Fortunatamente negli ulti anni è emerso un nuovo incoraggiante approccio nutrizionale, la dieta chetogenica.
La dieta chetogenica è una strategia nutrizionale che da tempo ormai viene utilizzata come sostegno ad alcune patologie come l’epilessia ed il diabete di tipo 2 con importanti risultati. Essa si basa su un’alimentazione incentrata principlamente sui lipdi, con un bassissimo apporto di carboidrati, mentre la percentuale di proteine è quella standard. Abbiamo quindi una ripartizione dei macronutrienti di questo tipo:
lipidi 70% proteine 20% carboidrati 10% con piccole variazioni a seconda dei casi. Rispetto ad una dieta mediterranea quindi c’è un netto calo dell’apporto dei carboidrati (meno di 50 gr al giorno), questo fa si che il corpo si deve adattare per ricavare l’energia necessaria alle attività giornaliere, il carburante del nostro corpo non è più il glucosio ma diventano gli acdidi grassi, la loro ossidazione produce i corpi chetonici (da qui il nome chetogenica) che verranno utilizzati al posto del glucosio.
Recentemente è stato utilizzato questo approccio nutrizionale in casi di lipedema con risultati molto incoraggianti ed in tempi molto brevi. In particolare si è notata una forte riduzione dell’edema nelle parti del corpo interessate ed una marcata diminuzionme della dolorabilità.
Il motivo di questi effetti sembrerebbe essere l’abbassamento dei livelli di insulina, che porterebbe ad una sensibile diminuzione dello stato infiammatorio.
Io stesso sto verificando con i miei pazienti la validità di questo intervento vediamo un caso clinico di una paziente giunta nel mio studio con una diagnosi di lipedema fatta dal suo (bravo) medico curante:
donna di 43 anni, lieve sovrappeso (160 cm per 65 kg) condizione di lipedema emersa da circa 10 anni con una progressione della patologia lenta ma costante, tipizzazione del lipedema in classe 3 (accumulo  del grasso dai fianchi alle caviglie). Primo approccio dieta mediterranea ipocalorica associata ad attività fisica regolare, la paziente perde circa 8 kg in 4 mesi ma la disarmonia data dal lipedema (seppur si notino dei lievi miglioramenti) persiste. Decidiamo di provare quindi la dieta chetogenica, le imposto un programma di 20 giorni ed ecco i risultati:

Come si po’ notare in meno di 20 giorni si è avuto un notevole miglioramento sia per quanto riguarda l’accumulo del grasso a livello di fianchi, caviglie e gambe sia per quanto riguarda la dolorabilità, la paziente infatti riferisce di non percepire più dolore agli arti inferiori e di non avvertire più senso di pesantezza la sera.
Visti i dati incoraggianti, dopo questi primi 20 giorni di terapia nutrizionale chetogenica proseguiremo con un piano alimentare di mantenimento impostato su una presenza comunque modesta di carboidrati, preferendo sempre quelli con un basso indice glicemico.
Possiamo quindi concludere affermando che l’approccio chetogenico per il miglioramento del lipedema sembra essere un valido aiuto alla risoluzione di questa patologia.

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COLESTEROLO, ARRIVA L'ASSOLUZIONE!

Non si può dire certo che il colesterolo goda di buona fama; esso infatti è ritenuto responsabile di aumentare il rischio cardiovascolare provocando la formazione delle placche aterosclerotiche. Chi di noi non si è allarmato se ritirando l’esito delle analisi del sangue ha notato un valore del colesterolo totale superiore ai limiti?
Prima di analizzare i nuovi dati emersi dalle pubblicazioni scientifiche, facciamo un focus su questa importante molecola. Il colesterolo appartiene alla famiglia degli steroli, viene autoprodotto da tutti gli organismi animali e la sua produzione avviene principlamnente a livello epatico, intestinale e delle ghiandole surrenali. E’ coinvolto in numerose funzioni cellulari, tra le quali ricordiamo la crescita cellulare, la formazione delle membrane cellulari, la regolazione della fluidità di membrana, la regolazione dello scambio molecolare tra cellule. E’ inoltre un componente della guaina mielinica delle cellule nervose.
Ma le sue funzioni non terminano qui: è essenziale infatti per il trasporto degli acidi grassi nel torrente circolatorio ed è una molecola fondamentale per la produzione di ormoni sessuali, vitamina D , acidi e sali biliari.
Come accennnato prima, gli organismi animali sono in grado di produrre autonomamente colesterolo a partire dall’acetilcoenzima A. L’organismo umano è capace di produrne circa 1-2 grammi al giorno e contrariamente a quanto si pensa, il colesterolo alimentare (quello cioè assunto con gli alimenti) rappresenta solo lo 0,03% dei livelli di colesterolemia.
Quindi, se i livelli di colesterolo nel sangue sono elevati, questo non dipenderà dal tipo di alimentazione, ma piuttosto da una disfunzione genica, denominata dislipidemia, che induce un difetto nella regolazione dei livelli ematici di questa molecola. Bisogna inoltre specificare che non tutti i sottotipi di lipoproteine che trasportano il colesterolo sono pericolose per le nostre arterie. Infatti, le lipoproteine capaci di formare placche aterogene sulle nostre arterie sono le sd-LDL (small dense-LDL).E’ quindi questo sottotipo specifico ad essere correlato a patologie cardiovascolari, purtroppo attualmente non ne è prevista la valutazione tramite analisi laboratoristica di routine.
Ma cosa sta emergendo dagli ultimi studi scientifici riguardo il rapporto tra livelli di colesterolo ematico e formazione delle placche aerosclerotiche? Sembra che le placche si formino anche in presenza di livelli normali di colesterolo ematico 1-2. Dimostrando l’assenza di un’ associazione tra elevata colesterolemia e mortalità cardiovascolare. Addirittura in alcune patologie erano livelli bassi di colesterolemia ad essere associati ad una prognosi peggiore 1-2. Fino ad ora quindi si è commesso un grande errore, dovuto al fatto che non è mai stato preso in consifderazione il vero fattore di rischio per le malattie cardiovascolari: il sovrappeso. L’aumento del colesterolo sanguigno è solo una conseguenza di un peso in eccesso.
Non ha senso quindi ricorrere ad una alimentazione che tende ad escludere quasi del tutto i cibi che contengono naturalmente il colesterolo. Anzi, si è visto che spostare l’alimentazione su alimenti privi di questa molecola, quindi ad alto contenuto di carboidrati, influisce sull’aumento delle pericolose sd-LDL. Un’alimentazione che invece sia caratterizzata dall’apporto delle giuste proporzioni di lipidi, causa un aumento dei sottotipi “buoni” del colesterolo come l’HDL e le lb-LDL (large bouyant-LDL) 3-4. A conferma di ciò è stato dimostrato che il consumo settimanale di uova, cibo notoriamente ricco di colesterolo, promuove l’aumento delle HDL e riduce i livelli delle sd-LDL 5-6.
Possiamo in conclusione assolvere senza ombre di dubbio l’”imputato” colesterolo, oggetto di decenni di disinformazione che ne hanno causato la cattiva nomea che ancora si porta dietro. Nel febbraio 2015 la Dietary Guidelines Advisory Committee dell’USDA (United States Department of Agricolture) ha proposto l’abrogazione dei limiti massimi di assunzione giornaliera del colesterolo, riconoscendo la non associazione tra colesterolo alimentare e livelli di colestrolo ematico 7.
BIBLIOGRAFIA
1) Herron, k.l. Et al (2004) High intake of cholesterol results in less atherogenic low-density lipoprotein particles in men and women independent of response classification. Metabolism 53(6): 823-30
2) Horwich, T.B., et al. (2002) Low serum total cholesterol is associated with marked increase in mortality in advanced heart failure. J. Am Coll Cardiol. 42:1933-1940
3) Malhotra, A. (2013) Saturated fat is not the major issue. BMJ. 347:f6340
4) Fernandhez, M.L., Calle, M. (2001) Revistining dietary cholesterol recommendations: does the evidence support a limit of 300mg/d? Curr Atheroscler Rep. 12 (6): 377-83
5) Fernandez, M.L. (2006) Dietary cholesterol provided by eggs and plasma lipoproteins in healty populations. Curr Opin Clin Nutr Metab Care 9(1):8-12
6) Song , W.O., Kerver, J.M. (2000) Nutritional contribution of eggs to American diets J Am Coll Nutr. 19 (5S): 556S-562S
7) http://www.healt.gov/dietaryguidelines/2015-scientific-report/PDFs/Scientific-Report-of-the-2015-Dietary-Guidelines-Advisory-Committee.pd

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INTERVISTA PER IL SITO CARNESOSTENIBILI

Alessandro Gubbini: “Nessun cibo andrebbe demonizzato”

Il dottor Alessandro Gubbini è un biologo nutrizionista. Conseguita la laurea magistrale in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi di Perugia, ha poi acquisito poi il titolo di Dottore di Ricerca in Neuroscienze, dopo aver completato il Dottorato di Ricerca presso l’Istituto di Fisiologia Umana della facoltà di Medicina e Chirurgia di Ancona. Viste le sue competenze, e il suo dichiarato rispetto per la Dieta Mediterranea, abbiamo pensato di fargli qualche domanda.

Dottor Gubbini, in passato Lei si è anche esposto prendendo posizione in difesa della Dieta Mediterranea. Perché?

Ritengo che la Dieta Mediterranea, quella che poi siamo abituati a seguire nel nostro Paese, sia perfettamente bilanciata. Infatti i principali macronutrienti, ovvero carboidrati, lipidi e proteine sono rappresentati in maniera da rispettare correttamente le esigenze del nostro organismo. Abbiamo così una percentuale adeguata di carboidrati, principalmente complessi e ricchi di fibre grazie alle abbondanti porzioni di frutta, verdura e legumi; una giusta presenza di grassi, con i grassi insaturi che superano percentualmente quelli saturi; un apporto di proteine non esagerato (come invece avviene per altri stili alimentari occidentali: vedi gli Stati Uniti).

Nel suo lavoro le capita di vedere persone che improvvisano una dieta fai da te, magari in seguito ad allarmismi infondati diffusi dai media? Se sì, cosa gli consiglia?

Capita eccome! L’informazione ai nostri tempi viaggia velocissima ed attraverso diversi canali, accessibili ormai da chiunque. Se a questo aggiungiamo che purtroppo qualche volta i media tendono al sensazionalismo, si capisce bene che alcune persone si facciano a volte eccessivamente condizionare da alcune notizie. Le diete fai da te possono essere pericolose, l’esclusione tout court di alcuni cibi, senza una reale necessità, ci potrebbe infatti esporre a mancanze nutrizionali importanti. Il mio consiglio è sempre quello di ragionare sulle informazioni che recepiamo, di farlo tenendo sempre conto delle basi scientifiche e di affidarsi agli specialisti del settore.

Quali sono le fasce di età in cui è più importante avere una dieta completa ed equilibrata, che includa quindi anche la carne?

In linea di massima ogni età della nostra vita è importante e quindi dovremmo sempre seguire una alimentazione equilibrata. Ci sono comunque particolari fasi in cui un corretto apporto di proteine risulta molto importante. Mi riferisco in particolar modo a due momenti: la fase dello sviluppo e quello della senilità. I bambini e gli adolescenti stanno formando il loro organismo, ed hanno bisogno di una percentuale di proteine leggermente maggiore rispetto agli adulti. Nel caso delle persone anziane, invece, esiste il rischio di incorrere nella malnutrizione. Con l’avanzare dell’età infatti, possono subentrare alcuni fattori che impediscono un corretto approvvigionamento di nutrienti: presenza di alcune patologie, la diminuzione della capacità masticatoria, la solitudine che fa venir meno la convivialità del pasto e che porta quindi ad effettuare pasti frugali. Tutto ciò aumenta il rischio di non assumere le giuste percentuali di proteine, con l’effetto di avere una riduzione della massa magra (massa muscolare) con il rischio di incorrere in un decadimento fisico e l’instaurazione di una condizione di “fragilità” del soggetto malnutrito.

Spesso la carne è accusata di essere fra le cause principali dell’”epidemia” di obesità infantile a cui stiamo assistendo. Ma è davvero così?

Il problema dell’obesità infantile è un problema reale, purtroppo il numero di bambini affetti da sovrappeso o peggio ancora da obesità è, negli ultimi anni, drammaticamente aumentato. Le cause che sono all’origine di questa problematica sono molteplici e, a mio avviso, il consumo di carne non è tra questi. Senza dubbio la mancanza di un livello di attività fisica adeguata ha un’incidenza molto maggiore. A questa si affiancano frequentemente anche errori nel tipo di regime alimentare seguito, ma più che nelle quantità di cibi ingeriti il vero problema rimane il “come” si mangia. Dalle anamnesi dei giovani pazienti che afferiscono al mio studio, infatti, emergono frequentemente errori nella composizione dei pasti, nella frequenza con cui alcuni alimenti vengono consumati (mi riferisco in particolar modo a salumi e formaggi), all’uso eccessivo di bevande zuccherate (succhi di frutta, bevande gassate, the freddi) e dolci. La carne, soprattutto se cucinata nel modo corretto e non arricchita da altri componenti (mi riferisco a preparazioni che oltre alla carne presentino anche formaggi) non causa problemi di sovrappeso.

Può farci un esempio di menu ideale?

Premesso che un menù ideale non esiste, in quanto ogni persona in base al suo stile di vita, alla presenza o meno di patologie, all’età ed al sesso dovrebbe seguire un piano alimentare personalizzato, posso comunque indicare delle regole di massima. Un “menu ideale” aderente alle regole della sana Dieta Mediterranea dovrebbe prevedere che il 50-55 % di energia giornaliera derivi dai carboidrati (questa percentuale normalmente è maggiore negli sportivi d’elite), il 25-30% dai lipidi ed il 15-20% dalle proteine. Per rientrare in queste percentuali è sufficiente effettuare una prima colazione abbondante, costituita da una bevanda (latte di mucca o vegetale, the, orzo) e cibi glucidici come possono essere il pane, le fette biscottate, i biscotti, i cereali e per chi lo gradisse una modesta quantità di zuccheri (miele, marmellata). A seguire uno spuntino di metà mattina in cui possiamo inserire della frutta fresca, uno yogurt, dei cracker, un piccolo panino con dell’affettato oppure della frutta secca (noci, mandorle, nocciole, pinoli). Il pranzo dovrebbe essere strutturato da un primo piatto (pasta, farro, riso, legumi, patate) condito in modo leggero, un contorno e della frutta. Il pomeriggio una merenda simile allo spuntino di metà mattina. La cena dovrebbe prevedere un piatto proteico, quindi carne, pesce, uova, affettato, formaggio (con l’accortezza di non mischiare tra loro questi cibi), a seguire sempre un contorno di verdure e frutta.

Cosa ne pensa della recente monografia di Iarc e Oms, in cui i salumi sono stati messi addirittura nello stesso gruppo delle sostanze cancerogene?

La precisazione che lei fa nel pormi la domanda è importante. L’Oms ha infatti puntato il dito sulle carni lavorate ed insaccati e non genericamente sulle carni rosse. Per noi “addetti ai lavori” questa notizia è in realtà una “non notizia”. Le correlazioni tra un consumo di questi alimenti ed il rischio di ammalarsi di tumore (in particolare tumore del colon retto e dello stomaco) sono note da anni. Ma cosa ci dicono in realtà questi studi? Che i rischi non sono legati alla carne in se stessa, ma a come questa viene lavorata. In particolar modo sembra che il rischio sia rappresentato dai nitriti e nitrati per quanto riguarda le sostanze contenute e dalla affumicatura e grigliatura per quanto concerne il metodo di cottura. Il mio consiglio in questi casi è usare il buon senso. Nessun cibo, secondo il mio modo di vedere, andrebbe demonizzato in assoluto. Ci sono cibi che andrebbero consumati più frequentemente ed alimenti che andrebbero mangiati con moderazione. I salumi possono essere inseriti in quest’ultima categoria, quindi da nutrizionista mi sento di consigliarne un uso sporadico, ma non certo di eliminarli del tutto dalla dieta.

http://carnisostenibili.it/2015/11/09/alessandro-gubbini-nessun-cibo-andrebbe-demonizzato/

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LE PROPRIETA' BENEFICHE DELLA BANANA

La banana è senz’altro il frutto più diffuso e consumato al mondo,
vuoi per il suo sapore vuoi per la sua praticità, vuoi anche per il suo aspetto
simpatico, possiamo comunque affermare che questo frutto si merita ampiamente
questa benevola fama.
Dal punto di vista nutrizionale sono una buona fonte di potassio, di magnesio e di vitamina B6,
sono inoltre una ricca fonte di antiossidanti, che ci difendono dall’azione nociva
dei radicali liberi.
Ma andiamo ora ad analizzare le principali proprietà della banana:

1)Rafforzano le ossa
pur non essendo ricche di calcio aiutano a mantenere forti le nostre ossa, infatti Secondo un articolo pubblicato sul Journal of Physiology and Biochemistry le banane contengono sostanze che aiutano la digestione e migliorano la capacità dell’organismo di assorbire il calcio
2)Aumentano il senso di sazietà
le banane contengono fibre vegetali che ci aiutano a mantenerci sazi più a lungo. Scegliendo una banana per la merenda non corriamo il rischio di orientarci verso i classici prodotti confezionati. Le banane vengono considerate uno spuntino utile per gli sportivi, da assumere 1 ora prima dell’allenamento.
3)Proteggono la vista
contengono vitamina A, una sostanza essenziale per gli occhi, per mantenere la normale capacità visiva e per migliorare la visione notturna, secondo il National Institute of Health. La vitamina A aiuta a preservare le membrane oculari e la cornea. Le banane possono anche aiutare a prevenire la degenerazione maculare
4)Proteggono lo stomaco
Mangiare banane regolarmente potrebbe proteggere lo stomaco dalle ulcere. Le sostanze nutritive presenti nelle banane sembrano creare nello stomaco una barriera protettiva contro l’azione eccessiva dei succhi gastrici rispetto alle pareti di questo organo. Inoltre le banane contengono composti che aiutano ad eliminare alcuni tipi di batteri considerati tra le cause delle ulcere gastriche
5)Sono benefiche per il cuore
sono ricche di potassio il quale contribuisce a mantenere regolare il battito cardiaco. Inoltre l’elevato contenuto di potassio delle banane e il loro ridotto apporto di sodio potrebebro proteggere il sistema cardiovascolare dall’ipertensione, secondo gli esperti dell’FDA.
6)Riducono lo stress
grazie al loro importante contenuto di triptofano, una sostanza che il nostro corpo converte in serotonina. La serotonina è un neurotrasmettitore che ci aiuta a risollevare il nostro stato d’animo. Inoltre la vitamina B6 presente nelle banane aiuta a dormire meglio e il magnesio contribuisce a rilassare i muscoli.
7)Prevengono l’ictus
Mangiare banane di frequente riduce il rischio di ictus in menopausa. Lo rende noto uno studio condotto negli Stati Uniti presso l’Albert Einstein College di New York e pubblicato dall’American Heart Association. Lo studio ha coinvolto un gruppo di oltre 90 mila donne in menopausa di età compresa tra i 50 e i 79 anni per un periodo di 11 anni
8)Sono una buona fonte di vitamina C
Una normale porzione di banane contiene il 15% dell’apporto giornaliero consigliato per la vitamina C. La vitamina C combatte i radicali liberi e aiuta a prevenire l’infiammazione. Inoltre, contribuisce alla formazione del collagene e aiuta a mantenere in salute i vasi sanguigni.

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REVISIONE SULLE PROPRIETA’ NUTRIZIONALI DELL’OLIO DI PALMA: E' DAVVERO NOCIVO ALLA SALUTE?

Per chi s’interessa di nutrizione, l’olio di palma è sicuramente argomento noto. Sono oramai molti anni che si discute riguardo le sue proprietà e sull’impatto ambientale che comporta il suo largo utilizzo.
L’olio di palma, insieme alle margarine, è senza ombra di dubbio il grasso più utilizzato nell’alimentazione umana. Se vi capita di leggere attentamente l’etichetta di qualsiasi prodotto da forno (biscotti, merendine, croissant, dolci), noterete che tra i primi ingredienti (e quindi tra i più presenti percentualmente nell’alimento) c’è spesso la dicitura olio vegetale di palma.
Il perché del suo diffuso utilizzo nell’industria alimentare è legato essenzialmente ai bassi costi e alla versatilità (alta resistenza al calore, conservabilità) che caratterizza quest’alimento.
In quest’articolo non prenderò in considerazione la tematica ambientale, che pur mi sta molto a cuore e che sicuramente rimane un grave problema da affrontare, ma apporterò solamente una revisione sulle caratteristiche nutrizionali di questo cibo.
Innanzitutto un dato importante, se andiamo a osservare la composizione dell’olio di palma ci accorgiamo che gli acidi grassi che lo compongono sono per circa il 100% acido palmitico e acido oleico che quindi conferiscono una forte stabilità all’ossidazione evitando il rischio d’irrancidimento.
L’olio di palma inoltre contiene quantità irrilevanti di colesterolo e anzi, la presenza di tocotrienoli assicura un effetto ipocolesterolemizzante (anche a carico della componente LDL).
Possono essere esclusi effetti diretti dell’olio di palma sull’obesità, l’elevato contenuto di pro-carotenoidi è un mezzo per combattere (soprattutto nelle zone tropicali) la carenza di vitamina A.
L’olio di palma non contiene acidi grassi trans che invece possono essere presenti in altri tipi di grassi che usiamo consumare: le parti grasse degli animali ruminanti e dei pesci o negli oli vegetali polinsaturi (olio d’oliva, oli di semi) portati a temperature troppo elevate come ad esempio nella frittura. L’olio di palma invece, grazie alla sua stabilità si presta molto bene a un uso che prevede alte temperature.
La percentuale di grassi saturi dell’olio di palma è stimabile intorno al 46%, mentre quella di grassi monoinsaturi si attesta circa al 45%, non sono invece presenti grassi polinsaturi (molto instabili al calore).
L’olio di palma quindi si può considerare del tutto soddisfacente dal punto di vista nutrizionale e anche quando esso è raffinato non perde di molto le sue qualità e conserva proporzioni soddisfacenti di tocoferoli e tocotrienoli. Come accennato prima, resta però di assoluta importanza cercare di far si che la produzione di questo grasso sia migliorata e che non porti a danni ambientali verso la flora e la fauna.

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PREVENIRE IL CANCRO ATTRAVERSO L'ALIMENTAZIONE....MA ATTENZIONE ALLE SCORCIATOIE!

fruttaverduraNumerosi studi scientifici condotti a partire dai primi anni ’70 che hanno coinvolto centinaia di migliaia di pazienti, hanno dato una chiarissima indicazione: chi mangia più frutta e verdura ha una bassa probabilità di contrarre il cancro, rispetto a chi invece non le consuma.
In particolare, i grandi consumatori di frutta e verdure sembrano essere maggiormente protetti da alcuni tipi di tumore: cavo orale, faringe, esofago, stomaco, intestino, laringe e polmone.
Un soggetto che fuma più di 20 sigarette al giorno ha probabilità 20 volte maggiori di ammalarsi di tumore polmonare rispetto al non fumatore, ma se mangia quotidianamente le giuste dosi di frutta e verdura riesce a dimezzare questo rischio.
Qual’è il motivo per cui un consumo giornaliero di frutta e verdure aiuta a contrastare l’insorgenza del cancro? La risposta, affermano i ricercatori, è da ricercare nell’azione antiossidante ottenuta grazie alla presenza di vitamine (C, E, beta carotene), polifenoli e composti solforati. Queste sostanze evitano l’attivazione di molecole cancerogene e proteggono le strutture cellulari ed il DNA cellulare dall’aggressione delle sostanze ossidanti.
Attenzione però a non farsi tentare dal prendere una facile scorciatoia: l’uso degli integratori vitaminici. In seguito alle scoperte scientifiche sopracitate, si approntarono numerosi protocolli di cura che prevedevano la somministrazione giornaliera di pillole contenenti vitamina A, E e beta carotene. Gli effetti furono drammatici. Emerse, infatti, che i pazienti che avevano assunto le pillole contenenti vitamina avevano avuto un incremento della mortalità per carcinoma polmonare, infarto ed emorragia cerebrale!
Anche se questo dato può sembrare in contraddizione con quanto affermato prima, non lo è affatto. La spiegazione è che non possiamo trasferire i benefici che si trovano in frutta e verdura in una pillola magica. Assumere dosi troppo elevate e concentrate di vitamine, è ormai ampiamente dimostrato, aumenta il rischio di ammalarsi. Inoltre nell’alimento, le sostanze antiossidanti benefiche probabilmente interagiscono con altre molecole presenti nel cibo, rendendo così possibile l’azione benefica nel nostro corpo.
Non possiamo quindi sostituirci a madre natura, il consiglio è quello di mangiare 4-5 porzioni giornaliere di frutta e verdura di stagione, cercando di alternarne il più possibile le tipologie.

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OLIO DI PALMA? NO, GRAZIE!

E’ uno degli ingredienti maggiormente utilizzati in ambito industriale per la produzione di prodotti da forno. L’olio di palma gode di questa fama tra i produttori a causa della sua economicità e praticità.
L’olio di palma copre oramai circa il 21% del mercato mondiale di olio commestibile e sotto il nome di “olio vegetale” oppure di “grasso vegetale” è uno dei principali ingredienti di molti prodotti che consumiamo quotidianamente: fette biscottate, biscotti, creme, cioccolata, nutella, croissant, patatine, margarina, gelati, alimenti congelati.
Il valore nutrizionale di questo olio è molto scarso, infatti, pur essendo un ingrediente di origine vegetale presenta un alto livello di grassi saturi che può raggiungere anche il 50% nel caso dell’olio di palma derivato dai frutti e l’80% nell’olio di palmisto, derivato dai semi. Il suo elevato contenuto di grassi saturi non è purtroppo controbilanciato da un’adeguata presenza di acidi grassi polinsaturi benefici, ritenuti in grado di tenere sotto controllo i livelli del colesterolo LDL. Inoltre l’olio di palma contiene grassi di tipo AGS-ath (C12, C14 e C16) che sono considerati dei veri e propri nemici per le arterie.
Oltre all’aspetto salutistico, l’olio di palma rappresenta oramai anche un grave problema ambientale. per far posto alle coltivazione viene spesso sacrificata la foresta pluviale, con grave danno ambientale e mettendo a rischio l’habitat di molte specie animali.
Purtroppo fino a dicembre 2014, non vi sarà l’obbligo di indicarlo chiaramente in etichetta. Oggi si nasconde dietro le diciture “grassi vegetali” o “olio vegetale”. Occhio quindi all’etichetta!

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E’ PIU' IMPORTANTE PERDERE CHILI O CENTIMETRI?

Chi ha avuto a che fare con una dieta, avrà forse notato che qualche volta il peso non scende sufficientemente, oppure esso tende a restare stabile se non addirittura a crescere!
Questo evento “misterioso” manda spesso in totale confusione la persona che, sicura del suo corretto comportamento alimentare, non sa darsi una spiegazione al perché la bilancia non dia quel responso tanto agognato.
Eppure non c’è nulla di strano dietro questo fenomeno, è del tutto fisiologico e proverò nelle righe seguenti a spiegarne il perché.
Bisogna innanzitutto sapere che, quando il nutrizionista elabora un piano alimentare, tiene sempre conto di alcune regole base, molto importanti affinché si ottengano i risultati sperati.
Una di queste prevede che la percentuale di kilocalorie rappresentata dalle proteine, sia leggermente al di sopra della norma. Una sana alimentazione, basata sul modello della dieta mediterranea, normalmente vede le kilocalorie giornaliere ripartirsi tra i macronutrienti in queste percentuali: 55-60% carboidrati, 12-15% proteine e 25-30% grassi. Le variazioni dipendono principalmente dallo stile di vita del soggetto interessato e/o dalla presenza di eventuali patologie.
Quando il nutrizionista va a elaborare una dieta, di solito (se non ci sono ragioni fisiopatologiche che lo sconsiglino) tende ad incrementare di qualche punto la % delle kilocalorie date dalle proteine e, nel contempo, a diminuire quella data dai grassi. Quest’ operazione risponde ad una necessità importante, quella di ottenere la perdita di massa grassa e cercare il più possibile di preservare la percentuale di massa magra.
Le proteine,infatti, affiancate da una corretta percentuale di carboidrati, aiutano l’anabolismo (costruzione) della nostra massa muscolare.
In questo modo quindi si spinge il corpo a “bruciare” i grassi, mentre il muscolo tende a rimanere stabile oppure a crescere. Poiché, un chilogrammo di grasso pesa quanto un chilogrammo di muscolo, se mettiamo ipotesi io perda in un mese 3 chili di grasso e contemporaneamente la mia massa muscolare incrementi di 2 chili, ecco che quando salirò sulla bilancia vedrò che il mio peso è sceso “solamente” di un chilo, ma in realtà ho perso 3 chili di grasso!
E qui entrano in gioco i centimetri! Massa grassa e massa magra hanno si lo stesso peso, ma occupano un volume differente. Il grasso, infatti, occupa un volume maggiore e da al corpo un aspetto molto più “flaccido”. Una persona che pesi 80 kg e che abbia una massa grassa del 15% avrà un corpo visivamente più asciutto e compatto di una persona che pesi 65 kg e con una percentuale di massa grassa del 38%.
Quando il corpo brucia grasso, che come abbiamo visto occupa un volume maggiore, va a perdere centimetri nelle circonferenze. Per questo il nutrizionista, in sede di visita di controllo, per valutare se i risultati sperati sono stati effettivamente ottenuti, da molta più importanza ai centimetri persi rispetto al peso che si osserva una volta saliti sulla bilancia.
Inoltre, il fatto di prendere le misure di determinati punti del corpo come riferimento per la valutazione dei risultati ottenuti, elimina anche il problema che si viene a creare quando ci si pesa in bilance differenti, che molto difficilmente hanno una taratura identica. Un metro invece è pur sempre un metro!
Questo discorso vale ancor di più per coloro che praticano qualche attività sportiva. La sollecitazione della muscolatura che si ha durante l’attività fisica, unita al maggior apporto proteico del piano alimentare che si sta seguendo, facilita l’aumento della massa magra. Non c’è da meravigliarsi quindi se dopo un mese di palestra e dieta non si nota un’importante perdita di peso. Infatti, se per esempio dalla comparazione delle circonferenze corporee e dell’esame delle percentuali di massa grassa e massa magra, si vede che ho perso 4-5 cm di vita, addome e fianchi e la mia massa grassa è scesa di 2-3 punti percentuali posso affermare senza ogni ragionevole dubbio che sto facendo un bel lavoro!

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MITI DA SFATARE: L’OSTEOPOROSI, IL COLESTEROLO, GLI INTEGRATORI DI VITAMINE

Molte convinzioni alimentari non sono che pregiudizi, derivanti da una lettura superficiale della composizione chimica degli alimenti e da una visione semplicistica dell’infinita complessità della natura e dell’organismo umano.

Vediamo tre miti da sfatare:

I latticini prevengono l’osteoporosi in menopausa

Al sopraggiungere della menopausa, soprattutto nei primi anni, le ossa della donna diminuiscono considerevolmente il loro contenuto di calcio (osteoporosi).

Appare logico, quindi, raccomandare a questa età un abbondante apporto di calcio con la dieta. Poiché il latte ed i formaggi sono alimenti particolarmente ricchi di calcio (nei formaggi stagionati si arriva addirittura ad oltre un grammo di calcio per cento grammi di prodotto edibile), è sempre stato raccomandato di mangiare tanti latticini.

Quello che si dovrebbe sapere, però, è che la principale causa di osteoporosi nelle donne in menopausa non è la carenza di calcio nella dieta, bensì l’eccesso di proteine animali. Queste, ricche di aminoacidi solforati, sono più acide di quelle di origine vegetale e tendono ad acidificare il sangue. Non appena le sostanze acide assorbite con gli alimenti sono troppe, l’osso libera dei sali di calcio per tamponare l’eccesso di acidità. Le ossa , infatti, non hanno solo funzione di sostegno, ma hanno un ruolo importante nell’equilibrio sei sali minerali.

Il formaggio e , in grado minore il latte, sono ricchi di calcio, ma sono anche un concentrato di proteine animali. Non esiste un solo studio che abbia documentato che una dieta ricca di latticini in menopausa sia utile ad aumentare la densità ossea e a prevenire le fratture osteoporotiche. Alcuni studi hanno addirittura riscontrato che la frequenza di fratture in menopausa è tanto maggiore quanto è elevato il consumo di carne e latticini.

Naturalmente rimane logico garantire un sufficiente apporto alimentare di calcio, purché non provenga dai latticini. Ne sono ricchissimi vari semi, specialmente sesamo e frutta secca come le mandorle, i prodotti del mare, come le alghe, i pesci utilizzati per fare la frittura se mangiati con le lische, le alici, o quelli messi nelle zuppe dove, per fare il brodo si utilizzano anche le teste e lische del pesce, ma anche i cavoli (soprattutto i broccoli), il pane integrale ed i legumi.

Le margarine e gli olii di semi aiutano a ridurre il colesterolo

La raccomandazione di consumare olii di semi e margarine è stata amplificata dagli interessi commerciali. Gli olii di semi aiutano effettivamente a ridurre il colesterolo in eccesso ma quando sono raffinati vengono privati di molte sostanze potenzialmente protettive presenti nei semi, fra cui buona parte della vitamina E. Nel processo di produzione delle margarine, invece, si formano acidi grassi particolari, inesistenti in natura, fortemente sospettati di aumentare, invece che diminuire, il rischio di infarto. Non ci sono ragioni nutrizionali, inoltre, per preferire gli olii di semi all’extravergine d’oliva, che è sicuramente più buono e gustoso.

Gli integratori di vitamine aiutano a prevenire il cancro

Un altro luogo comune è che gli integratori di vitamine prevengono il cancro. Recenti studi hanno invece evidenziato un maggior rischio di sviluppo di umori per chi fa uso di integratori ad alte dosi rispetto a chi non li utilizza. Se mangiamo bene assorbiamo dal cibo tutto quello che ci serve ed ogni integrazione diventa del tutto inutile

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FOCUS SUGLI ALIMENTI: CARNE, UOVA, LATTE E LATTICINI

L’uomo ha sempre mangiato cibo animale ma in piccole quantità; se escludiamo alcuni popoli nomadi, o quelli che vivono in condizioni ambientali estreme per freddo o per altitudine, sono ben pochi gli esempi di alimentazione tradizionale basata su un’alta quota di cibo animale.

Anche il latte, che oggi in Occidente è un alimento quotidiano, dai più era consumato solo occasionalmente, perché non poteva essere conservato ed era facile veicolo di infezioni. E’ stato solo alcuni decenni dopo la scoperta della pastorizzazione, in pratica dopo la prima guerra mondiale, che ha cominciato ad essere distribuito nelle città. Ma molti popoli non bevono ancora oggi più latte dopo lo svezzamento.

La cultura medica, giustamente preoccupata del grave stato di denutrizione che imperversava nelle nostre campagne e nei quartieri popolari delle città nei primi decenni del secolo, ha avuto un ruolo importante nella promozione del cibo animale, e la disponibilità di latte, di carne e uova, insieme al miglioramento delle condizioni igieniche delle abitazioni, ha probabilmente contribuito a migliorare lo stato nutrizionale e a difenderci da molte malattie.

Ma poi siamo andati troppo avanti su questa strada ed il consumo di cibi animali e di cibi raffinati è entrato in una spirale di interessi produttivi e commerciali che ha completamente sovvertito le tradizioni alimentari dell’uomo. La nostra ricchezza di alimenti, se ben utilizzata, ci consentirebbe una varietà alimentare sufficiente a soddisfare appieno sia le nostre esigenze fisiologiche e nutrizionali, sia il piacere della buona tavola, senza sovraccaricarci di prodotti animali e di cibi impoveriti da trattamenti industriali, che solo il plagio della pubblicità televisiva riesce a farci mangiare.

La carne è certamente un ottimo alimento, ma l’aumento del suo consumo, in particolare delle carni rosse, è uno dei fattori che ha contribuito a far aumentare l’incidenza di molte malattie frequenti nelle popolazioni occidentali, come l’aterosclerosi, l’ipertensione, il tumore dell’intestino.

Inoltre i grassi della carne bovina, delle uova e dei latticini (i cosiddetti grassi saturi) fanno aumentare il livello di colesterolo nel sangue, al contrario dei grassi vegetali come gli oli di oliva e di semi che lo fanno abbassare. Attenzione a moderare quindi il consumo di carni rosse, uova e latticini.

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